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LA MUSICA MEDIEVALE

fonte wikipedia

La musica medievale è quella musica classica composta nel Medioevo, andando quindi dall'undicesimo secolo fino al Quattrocento. Essa, dato il lungo arco di tempo, è suddivisa in diversi sotto periodi che ne distinguono lo sviluppo.

La teoria della musica medievale e Guido d'Arezzo
L'Esacordo


Guido D'Arezzo

Statua nel piazzale degli Uffizi - Firenze



Guido d'Arezzo nacque intorno al 995 d.C. in un villaggio vicino a Pomposa (Ferrara). Entrò nel monastero benedettino dell'abbazia di Pomposa e poi si trasferì ad Arezzo, dove maturò il suo nuovo metodo per l'apprendimento del canto liturgico, che espose al papa Giovanni XIX, il quale ne favorì la propagazione. Le sue opere sono il micrologus de musica, considerato il più importante trattato musicale a noi pervenuto del Medioevoe il prologus in antiphonarium nel quale l'antifonario viene dato nella nuova notazione.
Guido d'Arezzo diede una soluzione ai molteplici tentativi di notazione diastematica e fu una figura importante nella storia della notazione musicale, soprattutto per l'impostazione del modo di leggere la musica: inventò iltetragramma e utilizzò la notazione quadrata.
Diede inoltre un nome ai suoni dell'esacordo, con l'intento di aiutare i cantori a intonare e memorizzare una melodia anche senza leggerne la notazione. A questo fine utilizzò l'inno Ut queant laxis, dedicato a San Giovanni Battista: Guido aveva infatti osservato che i primi sei emistichi dell'inno hanno inizio ciascuno su un diverso suono dell'esacordo, in progressione ascendente. Decise dunque di dare come nome a ciascun suono la sillaba di testo corrispondente:
1. (UT) QUEANT LAXIS
2. (RE)SONARE FIBRIS
3. (MI)RA GESTORUM
4. (FA)MULI TUORUM
5. (SOL)VE POLLUTI
6. (LA)BII REATUM
7. (S)ANCTE (I)OANNES.

Traduzione: affinché i fedeli possano cantare con tutto lo slancio le tue gesta meravigliose, liberali dal peccato che ha contaminato il loro labbro, o S. Giovanni (Più tardi, unendo le lettere iniziali delle due parole che compongono il settimo emistichio si diede nome alla nota si).
Successivamente la sillaba ut fu sostituita con do: l'artefice della sostituzione è stato erroneamente identificato in Giovanni Battista Doni, il quale nel XVII secolo avrebbe a questo scopo impiegato la prima sillaba del proprio cognome; in realtà l'uso della sillaba do è attestato già nel 1536 (dunque molto prima della nascita di Doni) in un testo di Pietro Aretino. Guido D'Arezzo realizzò anche il sistema esacordale che non fu un sistema teorico, ma un metodo didattico, con la funzione pratica di aiutare i cantori ad intonare i canti. Organizzò la successione delle note in esacordi perché la maggior parte dei canti stavano nell'ambito di 6 note ed erano le sei note che stavano nel tetragramma.
Guido d'Arezzo individuò tre tipi di esacordo:
Esacordo naturale: do-re-mi-fa-sol-la
Esacordo molle: fa-sol-la-sib-do-re
Esacordo duro: sol-la-si-do-re-mi

La Solmisazione e la Mutazione

In precedenza le note erano denominate soltanto con una lettera dell'alfabeto latino, uso tuttora in vigore nei paesi anglosassoni: partendo dal nostro do la successione delle note era C D E F G A B. Guido d'Arezzo utilizzò le sillabe dell'Inno a S. Giovanni per indicare i gradi dell'esacordo, in modo che il semitono ascendente (E-F, B-C, A-Bb) fosse sempre chiamato mi-fa e costituisse sempre il passaggio dal terzo al quarto grado dell'esacordo.
Quindi si solmisava ut, re, mi, fa, sol, la l'esacordo naturale C D E F G A B, ma anche l'esacordo duro G A B C D E e l'esacordo molle F G A Bb C D.
Il sistema è piuttosto semplice finché si canta all'interno di un esacordo. Quando la melodia supera i limiti dell'esacordo occorre passare da un primo esacordo a un secondo, ovvero dal naturale al duro, e dal molle al naturale e viceversa.
Guido d'Arezzo stabilì che i punti per effettuare la mutazione, cioè per cambiare esacordo prima della sua fine, fossero G, A e D per i canti col B molle (bemolle) in chiave e D, E e A per i canti col B quadro (naturale). Di queste tre note la prima vale per i passaggi ascendenti, la seconda per quelli discendenti, la terza per entrambi. Al passaggio di esacordo la nota in cui si effettua la mutazione si chiama re in salita e la in discesa.
Ad esempio, se abbiamo il B molle in chiave, la scala ascendente (in neretto i punti delle mutazioni) E F G A Bb C D E F si solmisava mi, fa, re, mi, fa, sol, re, mi, fa. In discesa F E D C Bb A G F E si solmisava fa, mi, la, sol, fa, la, sol, fa, mi. Senza B molle in chiave la scala che noi oggi chiameremmo di do maggiore, C D E F G A B C, in solmisazione si pronuncerebbe ut, re, mi, fa, sol, re, mi, fa, mentre in discesa C B A G F E D C potrebbe cantarsi come quella in salita al contrario o anche fa, mi, la, sol, fa, la, sol, fa.
Come si può vedere le mutazioni in salita sono sempre in G e D e in discesa in A e D. La nota in cui si effettua la mutazione si chiama re (che sia in G o in D) se si sale e la (che sia in A o in D) se si scende. Lo stesso discorso vale con D, E, A per i canti col B quadro.
La solmisazione consente, più che l'apprendimento dei canti, la corretta intonazione degli intervalli secondo l'intonazione naturale degli armonici. Non solo il semitono diatonico ascendente è sempre chiamato mi-fa, ma anche il tono presente tra I e II grado e tra IV e V grado dell'esacordo è sempre chiamato ut-re o fa-sol, mentre il trono tra II e III e tra V e VI, di ampiezza minore del precedente (il cosiddetto tono piccolo), è chiamato re-mi (o sol-la, in assenza di mutazione). Chi canta sa dunque che l'intervallo mi-facorrisponde al semitono diatonico, ut-re e fa-sol al tono grande e re-mi e sol-la al tono piccolo, qualunque siano le altezze assolute da lui cantate.

La Mano Guidoniana




La mano giudoniana

Per facilitare ai cantori la pratica della solmisazione venne inventata la mano guidoniana: sulla mano sinistra veniva messa la notazione alfabetica di Oddone da Cluny (= lettere maiuscole = ottava grave; minuscole = ottava media; doppie minuscole = ottava acuta). Guardando questa mano doveva essere più facile praticare la solmisazione. La mano guidoniana aiutava, dunque, la pratica della solmisazione.

Ugolino Urbevetano da Forlì
Con il passare del tempo, vennero tentate altre vie di notazione: in particolare, nel (XV secolo) si ricorda Ugolino Urbevetano da Forlì: infatti, dalle testimonianze ricaviamo che fu: "Glorioso musico e inventor delle note sopra gli articoli delle dita delle mani", e dunque "Uomo famoso".


Monodie sacre e profane


Simone Martini, Musici (dettaglio dall'affresco della Vestizione di San Martino), Basilica inferiore di Assisi




Musica e danza, illustrazione dal tacuinus sanitatis casanatensis (XIV secolo)

Fuori dalla Chiesa, nel Medioevo, esistevano due tipi di produzione di musica: sacra e profana. La Chiesa, nel momento in cui impose il proprio potere culturale, vietò o mise al bando tutte le forme di produzione artistica che prescindevano dalla chiesa e, di conseguenza, tutta una vasta produzione poetica (Ovidio, Orazio, Virgilio) inizialmente in latino e poi anche in volgare, che si produsse nel Medioevo, spesso accompagnata dalla musica.

Poi cominciò a nascere una produzione autonoma, per esempio vi fu un Planctus Karoli (cioè pianto di Carlo) che è un lamento funebre scritto per la morte di Carlo Magno, di cui sappiamo esistere una versione musicale. Abbiamo anche il canto "Roma Nobilis" che era un canto di pellegrini che andavano verso Roma; si è scoperto che la melodia di questo canto era utilizzata anche per un testo profano: " "O admirabilis Veneris idolum". Dunque c'era l'utilizzazione contemporanea di una medesima melodia tanto per un canto (testo) sacro quanto per un testo profano. Vi sono, poi, dei primi esempi in volgare come "il canto delle scolte modenesi" che erano delle guardie. Anche questo aveva una sua destinazione musicale.
Di tutte queste composizioni non ci è pervenuta la melodia e nemmeno la melodia dei famosi "Carmina Burana". Sappiamo soltanto che fino al 1100 circa ci fu questa produzione, inizialmente su testi latini, poi su testi in lingua volgare e man mano che si andò avanti molti di questi testi erano di provenienza ecclesiastica, proprio perché la formazione culturale avveniva esclusivamente in ambito ecclesiastico.

La storia della musica, al di fuori della chiesa, è principalmente legata, ancora una volta, alla storia della letteratura europea nel senso che nel momento in cui nasce la letteratura volgare, quella che chiamiamo "letteratura romanza", nasce per la musica e nell'ambito del sistema feudale, per l'organizzazione che Carlo Magno e i suoi eredi diedero all'immenso territorio del Sacro Romano Impero.
Il feudalesimo diede un assetto sociale, economico e politico all'intero territorio del Sacro Romano Impero, quindi diede anche una certa stabilità. Questo provocò la graduale trasformazione della fortezza militare, del castello, in corte, ove nacque la prima produzione della letterature europea: la lirica cortese.
È una lirica incentrata prevalentemente sul tema dell'amor cortese e il rapporto fra la donna e il suo amante non è altro che la riproduzione del rapporto di vassallaggio fra il vassallo e la sua

Signora, musa e Domina.
La forma principale di questa lirica d'amore fu la canso costituita da un vario numero di strofe, precedute da una volta.
I poeti vennero chiamati trobador (facitore di tropi).
Il trobar plan era un modo di scrivere poeticamente abbastanza semplice. Il trobar rich era un modo di poetare più complesso, il trobar clus era un modo di poetare chiuso, nel senso che se non si conosceva una chiave di lettura, era impossibile leggere, decodificare il testo poetico. I testi poetici erano fatti dai trovatori, poeti provenzali, e non venivano letti o recitati, ma cantati da menestrelli e giullari, musicisti di provenienza perlopiù popolare. Il primo trovatore fu Guglielmo IX d'Aquitania. Altri furono:
Ebolo II di Ventadorn, il creatore dell'ideale di vita cortese e caposcuola della tradizione trobadorica. Della sua opera non è rimasto nulla;
Marcabruno di Guascogna, autore di 43 composizioni, aspre e sottili, soprattutto sirventes e 4 melodie;
Jaufré Rudel, principe di Balja, rimatore dolce e leggiadro. Di lui possediamo 6 poesie amorose di cui r con la musica;
Giraut de Bornelh, considerato da Dante, insieme ad Arnant Daniel, fra i maggiori poeti provenzali,
Raimbaut de Vaqueiras. Fu uno dei più originali artisti del tempo. La sua attività di trovatore si svolse in Italia, alla corte di Bonifacio I di Monferrato;
Peire Vidal, di cui abbiamo 12 composizioni. Viaggiò molto e fu anche in Italia;
Folquet di Marsiglia: di padre genovese, morto nel 1231, fu Autore di 13 composizioni;
Uc de Saint Circ, vissuto in Italia alla corte di Alberico da Romano. Fu l'autore della vidas di numerosi trovatori: testimonianze biografiche di scarsa affidabilità;
Arnant Daniel, di cui abbiamo due testi musicati;
Tra tutti il più importante e famoso fu Bernard de Ventadorn, che viene considerato uno dei più ispirati poeti del mondo trobadorico. La cosa interessante fu che i "cansonieri", cioè le raccolte di canzoni di questi trovatori, ci hanno tramandato circa 2600 testi poetici, dei quali ci sono pervenute solo 300 melodie.
La disparità fra il gran numero di testi e il ridotto numero di melodie si spiega perché l'ispirazione è uguale esattamente a quella della lirica greca: i testi poetici erano scritti, mentre le melodie legate a schemi melodici fissi e ad una sorte di memorizzazione di tradizione orale.
Accanto alla canso ci furono delle altre forme poetiche dei trovatori come il jeu parti, una sorta di dialogo, oppure l'aube, il commiato mattutino di due amanti, il sirventes, una canzone di contenuto politico, morale o allegorico.
Nel nord della Francia, intanto, si erano sviluppate due forme letterarie di tipo narrativo:
"chanson de geste" che narrava le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini, poi passata nella narrativa popolare. Era in versi e, secondo alcuni, veniva declamata.
Il romanzo cavalleresco che raccontava le gesta di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda ed era in prosa.
Con il romanzo cortese nacque un nuovo rapporto tra il destinatario e il testo letterario, fondato sulla lettura. Nella nuova lingua, quella francese, la canso diventò chanson, il jeu parti jeu parti e l'alba divenne aube.

Accanto a queste forme ne nacquero delle altre di tipo narrativo, per esempio la chanson de toile, una canzone in cui una donna che tesse racconta una storia. È una lirica di contenuto narrativo che risponde ad un'esigenza di narrazione molto sviluppata nelle corti della Francia settentrionale. C'è poi la tradizione di testi poetici con ritornello, che derivavano dalle musiche di danza. Questi testi sono: Ballade, rondeau e virelai. Gli stessi termini denunciano la provenienza dalla danza. Ballade, infatti, vuol dire ballata, rondeau viene da "ronder" che vuol dire girare e virelai viene da "viler" che vuol dire anche girare.
Con il matrimonio di Beatrice di Borgogna con Federico Barbarossa la lirica francese venne portata in Germania, dove nacque la tradizione del lied, l'equivalente tedesco della chanson francese e della canso provenzale. I trovatori provenzali, diventati trovieri francesi, vennero chiamati Minnesanger (minne = amore e sang = canto) ed erano poeti aristocratici che scrivevano testi poetici.

La differenza tra il lied tedesco a la tradizione francese provenzale è che nel lied tedesco c'è una concezione molto più spirituale dell'amore rispetto alla forte componente sensuale della lirica francese. La prima scuola poetica italiana fu quella siciliana. I poeti di quest'ultima erano i poeti della cerchia di Federico II e, diversamente dai trovatori e dai trovieri, la loro formazione scolastica non era avvenuta perlopiù in ambito ecclesiastico. Per la prima volta in Italia, la poesia volgare nasce in un ambito nel quale la musica non è coltivata. Di conseguenza, in Italia, nel corso del Duecento, si determina la frattura fra la poesia e la musica che sarà, in parte, recuperata con l'ars nova e con Dante, nella cui opera "Divina commedia" c'è un'ampia allusione alla pratica della poesia per musica.

Le poche melodie di lirica trobadorica che ci sono pervenute risalgono al 1300 circa. Questo perché si sentì l'esigenza di mettere per iscritto una parte di questo patrimonio. A questo punto si è posto il problema dell'interpretazione ritmica di questi testi musicali, perché il canzoniere dei trovatori e dei trovieri ci è pervenuto in notazione quadrata guidoniana, che non dava alcuna informazione ritmica. Ci sono state varie ipotesi, una di queste è stata quella di applicare i modi ritmici. Questa tesi è stata smentita da due fattori:
Tutti quelli che hanno tentato di trascrivere con i modi ritmici hanno ottenuto risultati diversi;
I mottetti scritti da Adam de la Halle, sono in notazione modale, quindi se A. de la Halle avesse usato una notazione modale, l'avrebbe usata anche per le composizioni profane. Tuttavia questo non è accaduto, quindi l'ipotesi dei modi ritmici è sfumata.

Adam de la Halle fu un poeta francese che, ad un certo punto, si trasferì a Napoli al servizio degli Angioini, presso i quali concepì un'operina in miniature: le jeu de robin et marion che è una pastorella drammatica; la pastorella era una lirica in cui si immaginava l'incontro di un cavaliere con un pastorella. La soluzione che oggi viene ritenuta più convincente sul ritmo del canto dei trovatori e dei trovieri è quella proposta da uno studioso fiammingo che si chiama Von der Werf che dice: "..bisogna intonare questi testi mantenendo lo stesso ritmo che avrebbero, se venissero declamati". Il ritmo di questi testi, dunque, deve essere quello della declamazione.

Accanto al canto gregoriano, praticato in ambito liturgico, si sviluppò una produzione musicale sacra che non era legata alla liturgia. Si tratta di una produzione in latino data dall'ufficio drammatico (e poi dal dramma liturgico) e di una tradizione in volgare, data dallelaudi. Nel Medioevo, all'interno della liturgia, si cominciarono a teatralizzare rievocazioni del testo sacro che lo consentivano. Questa prima fase della teatralizzazione di momenti del testo sacro prese il nome di ufficio drammatico, perché la teatralizzazione avveniva nell'ambito di una celebrazione liturgica.

Il passo successivo fu la nascita del dramma liturgico che fu una vera e propria rappresentazione teatrale, realizzata sull'altare della chiesa, in cui i chierici vestivano i panni di attori. Il dramma liturgico fu una rappresentazione teatrale ispirata alla tradizione delvecchio e del nuovo Testamento e interamente cantato. Il passaggio dall'ufficio drammatico al dramma liturgico risulta evidente se si prende in considerazione il primo ufficio drammatico, "quem quaeritis?, un tropo che si cantava nel mattutino pasquale. Il mattutino è quel momento della liturgia delle ore che riguarda l'inizio, una delle prime ore del giorno di Pasqua. Questo tropo era un canto interamente inventato che rievocava l'incontro dell'angelo con le pie donne. Questo nucleo dialogico venne teatralizzato, dunque diventò un ufficio drammatico. Quando dal canto teatralizzato si passò alla rappresentazione vera e propria in cui all'angelo e alle pie donne si aggiungono altri personaggi, nasce il dramma liturgico che prende il nome di Ludus Paschalis perché la parola che venne utilizzata per indicare questi drammi di norma fu ludus, gioco. Fra l'altro, si tenga conto che il rapporto fra la teatralità e il gioco è molto diffuso nelle lingue non italiane.

Il ludus Danielis rievoca la vicenda di Daniele e della fossa dei leoni ed è una rappresentazione molto interessante perché è il più grandioso dramma liturgico. Prevede molti personaggi in scena, la presenza di strumenti accanto alle voci ed ha un numero molto alto di melodie di varia provenienza.(gregoriana, ma anche melodie più vicine alla tradizione della lirica volgare). Inoltre, il ludus Danielis ha delle parti in volgare perché i fedeli ormai parlavano in volgare e, quindi, in una rappresentazione teatrale che doveva raggiungere direttamente il fedele in una rappresentazione teatrale si sentì la necessità di inserire parole, frasi o parti in lingua volgare. A questo inserimento della lingua volgare si accompagnò la tendenza di inserire delle parti comiche che vennero legate in particolare ad alcuni personaggi. Ad esempio San Pietro era esposto alla comicità. Questo provocò una reazione della chiesa che, ad un certo punto, vietò che i drammi liturgici, divenuti troppo profani, si facessero all'interno della chiesa. Questi drammi liturgici, quindi, vennero spostati sul sagrato della chiesa e divennero sacre rappresentazioni.
La sacra rappresentazione è una rappresentazione di contenuto sempre sacro, legato ad una vicenda sacra. Si rappresentava fuori dalla chiesa, sul sagrato, ed era in lingua volgare. Col passare del tempo, nel Medioevo, il testo della sacra rappresentazione assume una precisa versificazione, quella in ottave di endecasillabi. Delle sacre rappresentazioni bisogna ricordare che si trattava di un teatro che non rispettava i principi del teatro classico, cioè di unità di tempo di luogo e di azione che si sarebbero applicate a partire dal 1400, quando venne scoperta la poetica di Aristotele e quindi si applicarono i principi diciamo classicisti.

Accanto al dramma liturgico e alla sacra rappresentazione, dobbiamo ricordare come funzione musicale di contenuto sacro uno extra liturgico, le Laudi. Il loro sviluppo va letto all'interno di una grande fioritura religiosa che avvenne nel corso del Duecento, legata in gran parte anche alla diffusione del movimento francescano. Infatti è il cantico delle creature di San Francesco d'Assisi, di cui si sa che esistesse una traduzione musicale, che noi non possediamo. Più avanti si costituirono addirittura delle confraternite. Preposte proprio all'esecuzione di laudi furono le confraternite di laudi, le cui raccolte vennero chiamate laudari. Col passare del tempo, la lauda assunse la forma metrica della ballata e tra queste ricordiamo due laudari che ci sono pervenuti:
Laudario di Cortona;
Codice della Biblioteca Magliabechiana di Firenze;
Sono due laudari in parte simili (le melodie derivano tutte da un protolaudario, cioè da un modello originario), ma anche molto diversi (le melodie del laudario, che si trova nella Biblioteca Nazionale di Firenze, sono molto più fiorite e i manoscritti in cui si trovano queste melodie sono molto più ricchi eleganti e miniati rispetto a quelle del laudario di Cortona).

La notazione medievale

La notazione neumatica
Per scrivere le melodie i monaci avevano inventato dei neumi, parola che dal greco significa segni, da porre sopra le parole dei canti, senza ausilio di righi e chiavi. I neumi non indicano l'esatta altezza delle note, da apprendere oralmente, ma sottili sfumature ritmiche. La trasmissione orale del canto gregoriano non impedì l'utilizzazione, dal punto di vista teorico, di una scrittura alfabetica medievale, che, a differenza di quella greca, utilizzò le lettere dell'alfabeto latino. La notazione che venne utilizzata fu quella diOddone da Cluny. Si tratta di una notazione tuttora impiegata nei paesi anglosassoni, che utilizza le lettere dalla A alla G, per indicare la successione dei suoni dal La al Sol. Le lettere maiuscole si riferiscono alla prima ottava (quella più bassa), le lettere minuscole alla seconda ottava(ottava intermedia).Per quanto riguarda il si, nota mobile, si utilizzava il si dai contorni rotondi se bemolle, mentre il si dai contorni quadrati se naturale. Dal punto di vista pratico, per facilitare le memorizzazione dei canti, si posero degli accenti (neumi) sul testo, che ricordavano, a chi cantava o leggeva il testo, l'andamento della melodia. E poiché in greco l'accento si chiama neuma, questa notazione venne chiamata neumatica. Inizialmente, gli accenti furono l'accento acuto (´), l'accento grave (`), circonflesso (^) e l'anticirconflesso (). Gli vennero dati anche nomi, quali, ad esempio, notazione in campo aperto (perché i neumi erano liberamente posti sul testo), notazione adiastematica (da "diastema" = intervalli + "a privativa, cioè incapace di indicare l'altezza precisa dei suoni, ma solo l'andamento della melodia) e notazione chironomica - da "cheiros" = mano, perché riproponeva, in pergamena, il movimento della mano del "precento" (= direttore d'orchestra), che guidava il coro.

Le notazioni si complicano in ordine decrescente: la notazione di S. Gallo e quella di Metz sono molto più complesse della notazione inglese, in quanto offrono una grande quantità di informazioni supplementare sulle sfumature esecutive;
La notazione aquitana presenta segni dislocati nello spazio, dunque, pur essendo ancora adiastematica, suggerisce la disposizione delle note, grazie alla disposizione spaziale dei neumi. I neumi utilizzati dalla notazione aquitania hanno forma quadrata, che sarà la forma delle notazioni successive.
Un momento decisivo nell'evoluzione della scrittura musicale fu quello in cui un ignoto copista tracciò una linea a secco, senza inchiostro, sulla pergamena. Prima di questa linea pose la lettera C (= Do, nella notazione alfabetica medievale). I neumi che stavano sopra della linea erano al di sopra del do, mentre quelli che stavano sotto erano al di sotto del do. Successivamente venne aggiunta una seconda linea, prima della quale venne messa la lettera "G" (che indicava il sol) ed una terza linea, preceduta dalla lettera F (che indicava il Fa). L'evoluzione di queste lettere ha portato alla nascita delle chiavi di Do, Sol e Fa. Inizialmente ogni linea aveva la sua chiave ed era colorata, per essere distinta dalle altre. Il punto di arrivo di questo tentativo, di questo sforzo di trovare una notazione che indicasse l'altezza reale dei suoni, quindi che non si limitasse ad indicare l'altezza della melodia fu appunto la notazione quadrata guidoniana, una notazione costituita da quattro linee e tre spazi (= tetragramma). La 5ª linea nacque quando si sviluppò un canto più ampio dal punto di vista melodico. La chiave utilizzata era una sola. Dal punto di vista della forma dei neumi, questa notazione deriva da quella aquitana.

La tavola dei nèumi di S. Gallo
Precisiamo che con il termine neuma si indica la nota o il gruppo di note che corrisponde ad una sillaba. Quando la sillaba è resa da una sola nota grave, si ha il punctum; quando, invece, è resa da una sola nota acuta, si ha la virga.
La tavola dei neumi di S. Gallo fu formulata dai benedettini di Solesmes. Prevede una lettura in senso verticale e una in senso orizzontale:
Nella lettura in senso verticale vengono raggruppati i neumi che derivano dagli accenti, i neumi che derivano dall'oriscus e neumi che derivano dall'apostrofo. 1.I neumi che derivano dagli accenti: i più importanti sono il punctum, che è una singola nota al grave, e la virga, che è una singola nota all'acuto. I neumi che derivano da più note: i più importanti sono:
il podatus o pes, che indica due note ascendenti, perché è dato dall'unione del punctum con la virga;
La clivis, che indica due note discendenti ed è data dall'unione di un accento acuto, che indica la nota più alta, e dall'unione di una virga con un punctum, che indica la discesa;
I neumi di tre note sono:
Climacus: indica 3 o più note discendenti ed è reso da una virga con due punctum;
Scandicus: è dato da tre note ascendenti ed è reso da un punctum e una virga;
Torculus: è una nota acuta fra due gravi;
Porrectus: è una grave tra due acute;
La particolarità di questi segni è che devono essere pronunciati senza separazione.
1. I neumi che derivano dall'apostrofo: indicano note ribattute;
2. I neumi che derivano dall'oriscus

Nella lettura in senso orizzontale, invece, si hanno i vari modi con cui un neuma può essere modificato. Normalmente un neuma poteva essere modificato, nella sua forma o per mezzo di lettere, per indicare un mutamento nell'esecuzione. Le lettere utilizzate erano la "t" e "c", che significano rispettivamente "tenete" (= il neuma deve essere allungato) e "celerite" (procedere rapidamente). Un neuma poteva essere allungato anche aggiungendo un piccolo segnale, un piccolo trattino detto episema.

Poi abbiamo un particolare tipo di intervento sulla scrittura, lo stacco neumatico. Con esso si nota che il tropatore, mentre sta scrivendo, improvvisamente stacca la penna. Si vede, quindi, un pezzo bianco. Lo stacco neumatico evidenzia un momento di respiro. C'è poi un ultimo carattere che è la liquescenza che veniva posta sopra sillabe particolarmente complesse, per esempio, sopra le sillabe che presentavano scontri consonantici. Quando questo segno veniva posto sopra queste sillabe, il cantore sapeva che doveva ridurre il volume della voce in modo da non far percepire eccessivamente lo scontro consonantico. Così facendo, il carattere aspro, sgradevole di queste sillabe veniva ridotto. Il quilisma è un segno neumatico che si trova quasi sempre nel mezzo di una terza ascendente. Indica una nota di transizione cantata con voce leggera e flessibile. Questi vari tipi di neumi legati alla notazione di S. Gallo ritornano uguali nella notazione quadrata guidoniana, quindi una singola nota grave viene indicata da un singolo neuma quadrato. La differenza fra neuma quadrato e neuma di S. Gallo è che il neuma di S. Gallo, da cui il neuma quadrato deriva, non dava l'altezza, mentre il neuma quadrato indica l'insieme delle note che vanno sulla sillaba, ma ci dà anche la loro altezza precisa. Analizzando un brano in scrittura quadrata vediamo che ci sono delle stanghette. La stanghetta alta più piccola divide due incisi, la stanghetta che sta nel mezzo del tetragramma separa due frasi, la doppia stanghetta indica l'alternarsi di un coro con l'altro o del coro col solista.

Se si confronta la versione in notazione quadrata guidoniana con quella di S. Gallo e di Metz, possiamo dire che la notazione quadrata guidoniana guadagna in precisione, perché chi legge sa l'altezza precisa dei suoni, ma perde in ricchezza di informazioni. Quindi quello che si ottiene in precisione si perde sul piano delle informazioni espressive. Per questo i professionisti che seguono il canto gregoriano, leggono contemporaneamente la notazione quadrata e le due scritture più complesse.

Parlando della polifonia, quando si cominciano ad utilizzare lo stile di discanto, si sente la necessità di fare un'organizzazione ritmica più rigorosa che viene data da 6 schemi ritmici che nacquero dalla prassi musicale. Questi sei schemi ritmici furono tutti caratterizzati dalla suddivisione ternaria per il discorso trinitario. Nel momento in cui questi schemi vennero codificati per acquisire una maggiore legittimità culturale, si utilizzarono i piedi della metrica classica, quindi il primo modo fu dato da una virga e da un punctum.

1º modo: longa brevis
2º modo: brevis e longa
3º modo: longa, brevis, brevis
4º modo: brevis, brevis, longa
5º modo: longa, longa
6º modo: brevis, brevis, brevis

Detto questo, che si trattasse di un'applicazione artificiosa a dei modelli ritmici preesistenti è dimostrato dal fatto che, in alcuni casi, il piede della metrica greca corrisponde al ritmo effettivo, mentre in altri casi no. Ogni voce aveva il suo modo ritmico, per esempio la voce di tenor di una composizione sempre al 5º modo, cioè il canto gregoriano al tenor veniva dato sempre con la scansione ritmica che camminava meno velocemente delle voci superiori alle quali venivano dati altri schemi ritmici un po' più movimentati. Era essenziale nell'organizzazione di un modo ritmico l'Ordo(= ordine). Gli ordines consistevano nell'indicare quante volte si doveva ripetere uno schema ritmico prima di una pausa.

La suddivisione della longa viene detta Modus. Il modo è perfectus se la longa è divisa in 3 brevis, imperfectus se la longa è divisa in due brevis. La suddivisione della brevis viene chiamata tempus, detto perfectum se è divisa in tre e imperfectum se è divisa in due semibrevis. La suddivisione della semibrevis viene chiamata Prolatio e si dice Maior se la semibrevis è divisa in 3 minime e minor se la semibrevis è divisa in due minime. In Italia abbiamo, inoltre, una notazione dell'ars nova italiana che deriva da quella francese, ma che è un po' più complessa. Questa notazione venne impostata da Marchetto da Padova in un trattato chiamato "Pomerium in arte musicae mensurate". In essa viene aggiunta anche la semiminima e le varie suddivisioni delle varie figure, dalle più grandi alle più piccole, sono ancora più complesse di quelle dell'ars nova francese. Inoltre, vi erano delle scritture nere e bianche.
Musicisti più normativi della legge poliromana



Il trovatore Bernard de Ventadorn

I trovatori
I trovatori furono poeti attivi nei secoli XII e XIII nelle corti aristocratiche della Provenza, regione attualmente appartenente alla Francia. Parlavano la lingua occitana. Successivamente, trovatori si poterono trovare in Francia, Catalogna,Italia settentrionale, e vennero ad essere influenzate tutte le scuole letterarie d'Europa: la scuola siciliana, toscana, tedesca, scuola mozarabica e portoghese. Fra i più noti si ricordano:
Bernard de Ventadorn
Jaufré Rudel
Raimbaud de Vaqueiras
Guglielmo IX d'Aquitania

Trovieri

Erano musicisti provenienti dalla Francia del nord. Il loro modo di vestire era molto diverso da quello dei trovatori e anche il loro dialetto: parlavano la lingua d'oil, uno dei due volgari francesi (assieme alla lingua d'oc).

Ars antiqua
Con il termine Ars Antiqua (o Ars Vetus) è indicato quel periodo convenzionale della Storia della musica anteriore al XIV secolo nel corso del quale in Italia e in Francia venne gradatamente recepita la "riforma" compositiva e musicale, iniziata da Philippe de Vitry e da Marchetto da Padova, chiamata provocatoriamente Ars nova. In particolare si ha la riforma della polifonia. Fra gli esponenti più rilevanti si citano:
Adam de la Halle
Francone da Colonia
Petrus de Cruce
Riccardo Cuor di Leone
Thibaud IV de Champagne
Scuola di Notre Dame


La Scuola di Notre Dame o Scuola di Parigi fu una scuola musicale al servizio della cattedrale di Notre Dame di Parigi, nella quale tra il XII secolo e gli inizi del XIII, si sviluppò la polifonia. Gli unici esponenti a noi noti sono:
Leoninus
Perotinus

Ars nova
L'ars nova è la rivoluzione dell'Ars antiqua che era molto diversa da quella che descriviamo adesso: Ars Nova è la locuzione con cui si indicò nel XIV secolo un nuovo sistema di notazione ritmico-musicale in contrapposizione a quello dei secoli precedenti. L'Ars Nova si sviluppò quasi contemporaneamente in Francia e in Italia, all'inizio del XIV secolo. Nel 1377 l'Ars Nova francese e italiana si fusero: nella notazione di Marchetto da Padova, per esempio, si inseriscono le figure ritmiche di Vitry, la ballata diventa a 2 voci e quasi sostituisce il madrigale.





Machaut (a destra) riceve Nature e tre dei suoi bambini, da una illustrazione di un manoscritto parigino del 1350

Ars nova francese
Principali esponenti:
Philippe de Vitry
Guillaume de Machaut

Ars nova italiana
Componenti più importanti:
Marchetto da Padova
Francesco Landini
Jacopo da Bologna



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CANTO GREGORIANO

Il canto gregoriano è un genere musicale vocale, monodico e liturgico.
Venne elaborato in Occidente a partire dall'VIII secolo dall'incontro del canto romano antico con il canto gallicano nel contesto della rinascita carolingia. È cantato ancora oggi, non solo in ambito liturgico, e viene riconosciuto dalla Chiesa cattolica come "canto proprio della liturgia romana".


Laudate pueri dal Graduale Triplex

Caratteristiche
Il canto gregoriano è un canto liturgico, solitamente interpretato da un coro o da un solista chiamato cantore (cantor) o spesso dallo stesso celebrante con la partecipazione di tutta l'assemblea liturgica.
È finalizzato a sostenere il testo liturgico in latino.
Deve essere cantato a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale, poiché ogni armonizzazione, anche se discreta, altera la struttura di questa musica.
In effetti, si tratta di un canto monodico, è una musica cioè che esclude la simultaneità sonora di note diverse: ogni voce che lo esegue canta all'unisono.
Dal punto di vista del sistema melodico, il canto gregoriano è di tipo modale e diatonico. I cromatismi vi sono generalmente esclusi, così come le modulazioni e l'utilizzo della sensibile. Le diverse scale impiegate con i loro gradi ed i loro modi, sono chiamati modi ecclesiastici, scale modali o modi antichi, in opposizione alle scale utilizzate in seguito nella musica classica tonale.
Non è cadenzato, ma è assolutamente ritmico. Il suo ritmo è molto vario, contrariamente alla cadenza regolare della musica moderna. Il ritmo, che nel canto gregoriano riveste un ruolo complesso, oltrepassa le parole e la musica, sorpassando le due logiche. Nei passaggi salmodici o sillabici, il ritmo proviene principalmente dalle parole. Nei passaggi neumatici o melismatici, è la melodia che diventa preponderante. Queste due componenti sono costantemente presenti.
È una musica recitativa che predilige il testo in prosa, che prende origine dal testo sacro e che favorisce la meditazione e l'interiorizzazione (ruminatio) delle parole cantate[2]. Il canto gregoriano non è un elemento ornamentale o spettacolare che si aggiunge allapreghiera di una comunità orante, ma è parte integrante ed efficace della stessa lode ordinato al servizio ed alla comprensione della Parola di Dio[3]. È questo il significato più profondo ed intimo di questo genere musicale.


Insuflavit spiritum angelicum
Codex Angelica 113

Origini del nome
Il nome deriva dal papa [benedettino] Gregorio I Magno. Secondo la tradizione, egli raccolse ed ordinò i canti sacri in un volume detto Antifonarium Cento (legato con una catenina d'oro all'altare della Chiesa di San Pietro), la cui copia originale andò persa durante le invasioni barbariche. Secondo una variante tradizionale di tale versione, egli dettò il codice ad un monaco, mentre era nascosto dietro un velo: il monaco, accorgendosi che Gregorio faceva lunghe pause nel corso della dettatura, sollevò il velo e vide una colomba (segno della presenza dello Spirito Santo) che sussurrava all'orecchio del papa. Il Codice Gregoriano sarebbe quindi di derivazione divina.
Più di recente,si è venuto a dubitare non solo dell'origine miracolosa dell'Antifonario, ma della stessa derivazione da Gregorio. Dalla carenza di testimonianze autografe dell'interesse di Gregorio per quello che riguarda l'impianto dell'uso della musica nel rito della messa, tranne una lettera generica in cui si parla del rito britannico, sono derivate altre ipotesi. Fra queste, vi è quella secondo cui l'Antifonario (e la storia della sua origine) sarebbero entrambi di origine carolingia (quindi databili quasi due secoli dopo la morte di Gregorio) e farebbero parte dello sforzo di unificazione del nascente Sacro Romano Impero: esistono infatti documenti che attestano i tentativi degli imperatori carolingi di unificare i riti franco e romano. Secondo questa ipotesi, attribuire la riforma ad un miracolo che coinvolgeva un papa di grande fama come Gregorio sarebbe servito quale espediente per garantirne l'accettazione universale e incondizionata.


coro gregoriano


neumi di san gallo

Cenni storici
A Gregorio Magno fu attribuita dal suo biografo Giovanni Diacono (scomparso nell'anno 880) la prima compilazione di canti per la Messa: "Antiphonarium centonem compilavit", cioè raccolse da più parti ed ordinò un Antifonario (libro di canti per la Messa). Prima ancora di comprendere come avvenne tale opera di revisione e collazione e quale ruolo effettivo vi ebbe Gregorio, occorre indagare sul materiale preesistente. Tuttavia, se è opinione generale che esistesse all'epoca un insieme di canti per la liturgia, nulla di preciso si conosce al riguardo per quanto attiene agli autori e alle epoche di composizione. Si tenga presente che fino al 700 non vi fu scrittura musicale ma sui testi si apposero dei convenzionali segni mnemonici per aiutare il cantore. Si ipotizza che nei tre secoli anteriori a Gregorio fosse diffusa la figura dell'autore - cantore, che ricorda il rapsodo dei tempi omerici: il canto veniva tramandato ed eseguito con l'aggiunta di varianti o con vere e proprie improvvisazioni. L'ambiente presso il quale si formavano questi ignoti "artisti" è rappresentato dalla Schola cantorum, palestra dove la Chiesa ha preparato i propri cantori fin dai primi tempi (all'epoca di papa Damaso, morto nel 384, c'era già una distinta schiera di diaconi esclusivamente dedicata a questo scopo). In modo simile a quanto avveniva nelle scuole d'arte medievali, si può parlare di un continuo lavoro collettivo, in cui si miscelavano qualità individuali e tradizione, stile personale e caratteristiche comuni al gruppo. La vocazione religiosa che era al fondo di tale attività spiega inoltre perché l'individuo scomparisse nel rendere un servizio alla comunità e a Dio, tanto che l'arte attraverso la spiritualità si trasformava in preghiera: il nome di questi musicisti non è giunto a noi perché essi non pensavano di lavorare per la propria fama ma per la gloria di Dio. Pertanto, rimane un solo nome, quello di papa Gregorio, a designare questi canti, che egli per primo ha fatto raccogliere e conservare, ma non sono suoi, così come non lo saranno quelli che verranno dopo di lui ma che, ugualmente, si chiameranno gregoriano.


gregorio VIII


Il ruolo di Gregorio
Come avviene generalmente per ogni periodo della storia della Chiesa, il nome di un Pontefice riassume e contrassegna il lavoro di un'intera generazione. Ciò vale anche - e forse ancor di più - per il periodo gregoriano, nel quale si riassume anche l'opera precedente e si dà il nome a quanto avverrà anche nei tempi successivi. Il ruolo di Gregorio nei confronti del canto liturgico è testimoniato dal diacono Giovanni (870) nella sua Vita di San Gregorio, scritta su incarico di Gregorio VIII avvalendosi dei documenti dell'archivio pontificio. La compilazione di un libro di canti per la Messa (Antifonario), di cui a noi non è pervenuto l'originale, è stata redatta insieme ai maestri del tempo, ma - secondo il biografo - con un intervento diretto e competente dello stesso Gregorio, che ci viene presentato come esperto in materia, maestro di canto ed istruttore dei "pueri cantores". Del resto, si deve a lui la restaurazione della "Schola cantorum" nella quale diede prova del suo mecenatismo: anche in questo caso, non fu lui a fondarla ma la fornì dei mezzi necessari ad uno sviluppo sicuro. Il ruolo di Gregorio nell'ambito del canto liturgico fu consacrato da Leone IV (847 - 855) che per la prima volta usò l'espressione "carmen gregorianum" e che minacciò di scomunica chi mettesse in dubbio la tradizione gregoriana.

La "questione gregoriana"

Lo sviluppo del canto gregoriano avvenne in un'epoca posteriore nei confronti del cosiddetto canto romano antico, e mostra una compiuta rielaborazione di vari elementi preesistenti, in modo tale da creare una sintesi artistica di grande valore. Infatti il repertorio "gregoriano" ingloba delle melodie romane anteriori adattate, ma anche caratteristiche melodiche che derivano dalla fusione con repertori liturgici della Gallia. Tutto questo corpus melodico viene inquadrato nel sistema degli otto modi (Octoechos), di derivazione greca e giunto in Europa occidentale attraverso Boezio. La consapevolezza di questo "incontro" tra due tradizioni, però, non risolve una problematica storica complessa.

Teoria tradizionale
Secondo la teoria tradizionale in ambito cattolico-romano, il canto gregoriano si sarebbe formato a Roma, dopo l'adozione della lingua latina nella liturgia, in una lenta evoluzione, con diversi apporti di papi. Il canto gregoriano sarebbe erede della tradizione ebraica sinagogale, e arricchito con influssi derivati dal canto della Chiesa di Gerusalemme. La messa a punto spetterebbe a Gregorio Magno e alla sua schola cantorum. Nel XIX secolo si pensò di avere individuato, nel codice di San Gallo 359, una copia autentica dell'Antifonario di Gregorio: l'iconografia del papa e il prologo Gregorius praesul, presente in vari manoscritti antichi, sembravano dare conferma irrefutabile a questa tradizionale teoria, che conosceva poche voci discordanti. La moderna opera di restaurazione gregoriana si svolse attorno a questa versione melodica, ritenuta come il vero canto della chiesa.

La scoperta del canto romano
Intorno al 1891, il benedettino André Mocquereau scoprì a Roma alcuni manoscritti dei secoli XI-XIII, con una versione di canto fortemente diversa dal gregoriano: egli ritenne che le melodie ivi contenute fossero una tardiva deformazione delle melodie gregoriane. Nel 1912, invece, un altro benedettino, Raphaël Andoyer avanzò l'ipotesi che quei codici testimoniassero il canto liturgico a Roma anteriore a Gregorio I, cioè quello non ancora elaborato da quel papa, e per questo motivo quella versione di canto liturgico venne chiamata canto romano antico, o semplicemente canto romano. La questione fu riproposta da Bruno Stäblein negli anni Cinquanta del XX secolo. Egli ipotizzò che il canto romano fosse il vero canto di Gregorio I, mentre il canto gregoriano una nuova versione, eseguita a Roma una cinquantina d'anni più tardi, sotto papa Vitaliano (657-672). Ma le prove addotte per sostenere tale ipotesi presentano indubbi punti deboli (discutibilità dei testimoni addotti, inverosimiglianza di un simile mutamento di tradizione e della coesistenza di una duplice versione di melodie nella stessa città, etc.). Più precisamente, i critici notarono che a Roma, prima del XII secolo, non v'è alcuna traccia di uso del canto gregoriano.

Il canto gregoriano: versione romano-franco
È la teoria che oggi sembra essere più condivisa. Fu elaborata a partire dal 1950 con l'apporto di vari studiosi (Jacques Hourlier, Michel Huglo, Helmut Hucke, etc.), con l'intento di contestualizzare il canto gregoriano in atti politico-liturgici ormai ben noti. In sintesi, ilcanto romano sarebbe stato rimaneggiato, per giungere al canto gregoriano, non a Roma, ma nei paesi franchi, tra la Loira e il Reno, quando la liturgia di Roma fu imposta in modo autoritario in tutto il regno franco, sotto Pipino il Breve e Carlo Magno. In quel contesto avvenne un processo di assimilazione e di rilettura creativa, iscritta nella vivace rinascita carolingia e sostenuta dalla politica unificatrice in vista del Sacro Romano Impero. A ciò dovettero contribuire, in modo determinante, i grandi monasteri e le scuole cattedrali. Il canto gregoriano, così come risultò da questo adattamento, era un canto assai finemente collegato con il testo liturgico, ricco di formule, inquadrato nel sistema dell'Octoechos, in comoda corrispondenza con otto toni fondamentali per la salmodia. Ciò suppone un impianto teorico, una oculatezza tecnica, che si nota anche attraverso la novità di una varia notazione neumatica a servizio degli stessi fenomeni espressivi. Questa scrittura musicale, infatti, nacque con tutta probabilità nelle regioni soggette ai Franchi nel IX secolo. Dalle regioni franco-germaniche provengono i più antichi e i migliori manoscritti neumatici.

Questione ancora aperta
I sostenitori della conversione del canto romano in canto gregoriano in ambito carolingio adducono prove alquanto convincenti, ma non dissipano ogni ombra di dubbio. Gli studi continuano, con un confronto sempre più affinato tra canto romano, canto gregoriano ecanto ambrosiano, e con una lettura sempre più attenta dei dati storico-liturgici. Non è comunque facile arrivare ad una soluzione definitiva. Helmut Hucke ha fatto notare che l'avere messo in notazione il canto romano, nell'XI secolo, può essere fatto rientrare nel tentativo di ripresa e di autocoscienza di Roma dopo secoli di decadenza, anche contro l'avanzare, in Italia, della versione franca sotto la spinta della riforma cluniacense. Nella versione più tardiva del canto romano (l'unica che conosciamo oggi, dato che è l'unica scritta), però, sarebbe stata presente la redazione franca (il cosiddetto gregoriano), che influenzava già il canto liturgico a Roma pur senza essere considerata "canonica". Alla luce di questa considerazione, quindi, anche l'affermazione che il gregoriano che conosciamo noi sarebbe nato da un incontro tra tradizione romana e tradizione franca viene posta in questione, perché di fatto l'elemento "romano" che troviamo sia nel canto gregoriano sia nel canto romano dei codici scritti potrebbe essere passato non dalromano al gregoriano, ma viceversa dal gregoriano franco al romano tardivo già influenzato dalla tradizione di canto che arrivava da nord. Nonostante questa fissazione su codici in neumi, comunque, anche a Roma nel Medioevo centrale il canto romano cederà di fronte al canto gregoriano già affermato nella pratica del resto d'Europa.


precettoria capitana


Le prime testimonianze scritte di canto gregoriano
Sono i tonari ad offrire le testimonianze più antiche di canto gregoriano. Il primo tonario conosciuto si trova in un salterio carolingio del 799. Si tratta di liste di pezzi (incipit) classificati secondo gli ambiti modali, affinché antifone e responsori possano essere collegati in modo chiaro con gli appropriati toni salmodici. L'antifonario di Corbie, del secolo IX-X, dona, marginalmente, le "sigle" dei modi: AP - Protus autenticus, PP - Protus plagalis, AD - Deuterus autenticus, etc.). Nei codici più antichi dell'antifonario (VIII secolo), si trovano soltanto i testi liturgici, senza note musicali: le melodie vengono trasmesse oralmente. Tali codici sono stati raccolti sinotticamente e studiati da René-Jean Hesbert nell'Antiphonale Missarum Sextuplex e raccolgono o i canti interlezionali (graduale, tratto,Alleluia), o i brani eseguiti dalla Schola (introito, offertorio, communio) così come erano stati fissati già nei secoli V-VI. I canti dell'ordinario, invece, non saranno presenti nei codici notati se non dopo parecchi secoli: appartenevano all'assemblea, venivano cantati con uno stile sillabico trasmesso solo oralmente.


notazione neumatica del canto gregoriano.

Alcuni cenni sulle successive vicende del canto "gregoriano"
Nel XII secolo una riforma musicale in ambito cistercense, in nome della povertà evangelica, rimaneggia le melodie ritenute troppo fiorite. Vengono sfrondati molti melismi ed è consentito al massimo l'ambito decacordale. Antichi codici vengono distrutti.

Con il diffondersi della polifonia il canto gregoriano, ritmicamente e melodicamente compromesso, continua tuttavia come canto "d'uso". L'espressione ha connotazioni negative nei confronti della nuova musica "d'arte". Il gregoriano fornisce comunque un materiale connettivo al tessuto polifonico, e vive come elemento di alternanza con la polifonia stessa. Ma tale uso alternante appare a volte del tutto arbitrario, tanto da distruggere le

forme liturgiche dei canti stessi.
In compenso, molti frammenti di gregoriano arricchiscono di fascino le composizioni di polifonia vocale e di polifonia organistica. Rimangono un rilevante elemento simbolico di aggancio al passato, di continuità nella tradizione.

Il concilio di Trento darà il colpo di grazia alla riproduzione e all'uso dei tropi e delle sequenze. L'Edizione medicea del Graduale Romanum (1614-1615, dal nome della tipografia Medici di Roma), è il frutto di una riforma melodica iniziata da papa Gregorio XIIIalcuni decenni prima: viene affidata, in un primo tempo, a Pierluigi da Palestrina, e riprendendo istanze ed esperienze umanistiche riduce il canto gregoriano ad uno stato "mostruoso": ritmica mensuralistica, eliminazione dei melismi, gruppi neumatici spostati sulle sillabe toniche, ecc. Su tale versione, che vanta una pretesa cattolicità e perciò viene largamente diffusa, si esercitano numerosi teorici barocchi, che producono una nutrita letteratura di metodi per l'esecuzione e di giustificazioni ideologiche.

È interessante, a questo proposito, una testimonianza di Felix Mendelssohn sul modo in cui veniva eseguito il "canto gregoriano" a Roma nell'Ottocento:[4]:
« L'intonazione è affidata a un soprano solista, che lancia la prima nota con vigore, la carica di appoggiature e termina l'ultima sillaba su un trillo prolungato. Alcuni soprani e tenori cantano la melodia come è nel libro, o giù di lì, mentre contralti e bassi cantano alla terza. Il tutto è reso su un ritmo saltellante. »
(F. Mendelssohn, 1830)

La stessa "Medicea", comunque, per quanto imposta d'autorità da Roma, si rivelerà insufficiente ed insoddisfacente: una copiosa produzione neo-gregoriana o pseudo-gregoriana (per esempio Attende Domine, o Rorate caeli) si fa strada soprattutto nelle regioni francofone. Appaiono così delle melodie "moderne", alcune anche di tutto rispetto, che forniscono una base al repertorio popolare in latino (Messe, antifone, etc.).
Nonostante lo stato di decadenza, il canto gregoriano è sentito da alcuni spiriti come un'ancora di salvezza del contesto liturgico, e come strumento di salvaguardia dei testi rituali. Ciò si comprende tenendo conto della invasione del "bel canto", dell'operismo e del concertismo nei riti sacri.


evoluzione del canto gregoriano

La rinascita ottocentesca
Il secolo del Romanticismo e dell'affermarsi del senso della storia, il secolo dei grandi ritorni dello spirito alle lontananze del passato, che nel campo della musica compì fra l'altro la "scoperta" moderna di Palestrina e di Bach, si volse, negli ultimi decenni, anche al recupero del patrimonio d'arte e di fede rappresentato dai canti della Chiesa dei primi secoli, canti anonimi, opera della voce collettiva di tutta una civiltà.
L'operazione non era semplice: si trattava di una voce che solo la conoscenza dei simboli che la esprimono graficamente, secondo un "cifrario" di cui si era persa la chiave, poteva far rivivere nella sua realtà sonora. Infatti, il canto gregoriano era sì rimasto in vigore nei secoli, ma con una tradizione contaminata che si era sempre più allontanata dall'originale: un vero "falso" era stato lo stesso tentativo di riordinamento fatto nel 1614-1615 con la già citata "Edizione medicea", da attribuirsi solo in parte a Palestrina, nata in un contesto (il barocco) lontanissimo dal gregoriano.
L'opera di restaurazione fu iniziata da Prosper Guéranger monaco dell'Abbazia di Solesmes. Sulla base di rigorose verifiche filologiche venne creato il laboratorio di paleographie musicale per la decifrazione degli antichi codici. Due specifiche svolte, quellasemiologica e quella modale, legate basicamente a due monaci dell'Abbazia di Solesmes, Eugène Cardine e Jean Claire, hanno fatto si che le cospicua eredità e la ricerca ricevessero potenzialità e connotati nuovi, e per certi versi rivoluzionari.[5]
La restaurazione gregoriana portò alla pubblicazione del Graduale romanum del 1908 e del Liber Usualis del 1903 fino al Graduale Triplex del 1979 ed alle ultime raccolte. Uno dei maggiori studiosi e restauratori recenti del canto gregoriano fu il benedettino spagnolo Gregorio Maria Suñol (1879-1946).

Il Concilio Vaticano II
Il Concilio Vaticano II, riunì nel sesto capitolo della Costituzione Sacrosanctum Concilium del 4 dicembre 1963 le considerazioni e le disposizioni relative alla musica sacra e al suo rapporto con la liturgia.
Le indicazioni generali dei paragrafi 114 e 115 (Si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della Musica sacra... Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari... ai musicisti e ai cantori, e in primo luogo ai fanciulli, si dia anche una vera formazione liturgica) sono suggellate dal paragrafo 116, intitolato specificamente Canto gregoriano e polifonico. Il paragrafo recita alla lettera "a)":
La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale.
Il paragrafo 117 invece afferma:
l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano [e una] edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di S. Pio X. [Infine] un'edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese minori
Malgrado le chiare indicazioni conciliari, nella fase successiva al concilio le conferenze episcopali privilegiarono un repertorio musicale quasi esclusivamente nelle lingue moderne e con forme vicino al pop e alla musica leggera. Ciò mise rapidamente in secondo piano la cura del repertorio gregoriano che, ritenuto tradizionalmente solido, finì invece per scomparire quasi completamente dalla scena liturgica.
Edizioni critiche

Ne 1974 fu pubblicata l'auspicata nuova edizione del Graduale Romanum curata dai monaci dell'Abbazia di Solesmes.
Nel 1975 fu fondata a Roma l'Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano su iniziativa di Luigi Agustoni, con l'intento di proporre un testo critico del Graduale alla luce di uno studio approfondito dei più antichi testimoni della tradizione testuale: il tentativo estremo di coniugare rigore filologico (thesaurum gregorianum autenticum integre conservare) e nuovi intendimenti pratici (Rubricae autem ampliorem facultatem praebent hauriendi e Communibus noviter dispositis, ita ut necessitatibus quoque pastoralibus largius satisfiat): come risultato nel 1979 venne pubblicata l'edizione tipica del Graduale Triplex, rappresentazione musicale in notazione quadrata del Graduale Romanum con l'aggiunta della notazione sangallese e della notazione metense, alla luce dello studio condotto dai monaci di Solesmes sui codici di Laon, San Gallo, Einsiedeln e Bamberga.
  
L'Alleluia Laudate pueri del Graduale Triplex
Il repertorio del canto gregoriano è molto vasto e viene differenziato per epoca di composizione, regione di provenienza, forma e stile.
Esso è costituito dai canti dell'Ufficio o "Liturgia delle Ore" e dai canti della Messa.
Nei canti dell'Ufficio si riscontrano le seguenti forme liturgico-musicali: le Antifone, la Salmodia che comprende il canto dei Salmi e dei Cantici, i Responsori (che possono essere brevi o prolissi) e gli Inni.
Nei canti della Messa si distinguono:
i canti dell'Ordinario o Ordinarium Missæ. Sono i testi che non mutano mai: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei.
e i canti del Proprio o Proprium Missæ. Sono i testi che variano secondo le diverse festività: Introito, Graduale, Sequenza, Alleluia che è sostituito dal Tratto nel tempo di Quaresima,Offertorio e Communio.
Una annotazione particolare meritano i canti paraliturgici di tradizione orale come quelli del coro delle confraternite di Latera (VT), esempio antichissimo di incrocio di canto gregoriano e polifonia unico nel suo genere
Sia nei canti dell'Ufficio come in quelli della Messa si riscontrano tutti i generi-stili compositivi del repertorio gregoriano; essi si possono classificare in tre grandi famiglie:
I canti di genere salmodico, sillabico o accentus (quando ad ogni sillaba del testo corrisponde solitamente una sola nota) come ad esempio la salmodia o le più semplici antifone dell'Ufficio, le melodie semplici dell'Ordinario e i recitativi del Celebrante.
I canti di genere neumatico o semiornato (quando ad ogni singola sillaba del testo corrispondono piccoli gruppi di note) come ad esempio gli Introiti, gli Offertori e i Communio della Messa o alcune antifone più ampie dell'Ufficio.
I canti di genere melismatico, ornato o concentus (quando ogni sillaba del testo è fiorita da molte note) come ad esempio i Graduali e gli Alleluia o i responsori prolissi dell'Ufficio. Tipico di questo genere è la presenza dei melismi.
Elementi di semiografia gregoriana
Premessa sulla ritmica gregoriana
Prima di affrontare per sommi capi questo vastissimo argomento è bene precisare che nel canto gregoriano il testo-preghiera è legato indissolubilmente ad una melodia e ne forma una completa simbiosi. Il gregoriano è il canto della pienezza della parola; esso nasce per ornare, esaltare e dare completezza espressiva ai testi della liturgia. Le melodie gregoriane esistono solo in funzione del loro elemento primario, il testo, al punto da identificarsi con esso e assumerne le qualità. Pertanto, la qualità ritmica del neuma si attinge dal testo e non dalle qualità fisiche del suono. La perfetta simbiosi fra testo e melodia costituisce nel gregoriano il dato fondamentale per la soluzione del problema del valore delle note.[6] Il Canto gregoriano non conosce mensuralismo e la sua interpretazione è basata essenzialmente sul valore sillabico di ciascuna nota, caratterizzato da una indefinibile elasticità di aumento e diminuzione.
L'anima del linguaggio parlato e musicale è costituita dal ritmo. Il ritmo, nel linguaggio parlato, consiste in un succedersi coordinato di sillabe in una o più parole. È quindi un fenomeno di relazione, che viene espresso dall'accento e dalla finale di una parola. Lasillaba tonica rappresenta il punto di partenza e di slancio del movimento, il polo di attrazione delle sillabe che precedono l'accento e il polo di animazione delle sillabe che vanno verso la cadenza.[7]
Nel canto gregoriano la melodia è legata essenzialmente al testo, perché nasce e si sviluppa su un determinato testo, dal quale prende le qualità ritmiche ed espressive. Il testo quindi costituisce l'elemento prioritario e anteriore della composizione gregoriana. Gli elementi che concorrono a formare un qualsiasi testo sono le sillabe, le parole e le frasi. La sillaba non forma un'entità autonoma assoluta, ma è in funzione di un'entità maggiore, la parola, e ogni parola ha un accento proprio che viene mantenuto nel contesto della frase rendendo possibile lo sviluppo di un ritmo del verso.
La stessa cosa avviene nella melodia. Il neuma (di uno o più suoni sopra ad una sillaba) non è autonomo, ma in funzione di un inciso melodico-verbale, che corrisponde ad una o più parole, a seconda del genere compositivo. Nel genere sillabico, la parola non sempre è sufficiente a determinare un'entità ritmica completa. Nel genere semiornato, dove ogni sillaba comporta più suoni, di solito un inciso melodico-verbale è ben caratterizzato da una sola parola. Nl genere ornato o melismatico (con fioritura di note sopra una sillaba), la parola viene esaltata al punto da lasciare il posto alla melodia.
La sillaba del testo latino rappresenta il valore sillabico della nota cioè l'entità stessa del neuma ed è da notare che la struttura del verso latino è determinata dalla rigida distinzione che il latino classico opera fra sillabe lunghe e sillabe brevi. Ma con il latino volgare, a cui derivano le lingue romanze (italiano, spagnolo, francese, portoghese, romeno, ecc.), questa differenza non si avvertì più, e l'accento tonico della parola andò acquistando maggiore importanza.
Semiografia gregoriana
I neumi


Ciò che in musica moderna si chiama nota musicale, in gregoriano è detto neuma (dal greco "segno") con la differenza che un neuma può significare una nota singola o un gruppo di note.
Nella trascrizione moderna del repertorio gregoriano si utilizzano note di forma quadrata (contrariamente alla notazione di tutta l'altra musica) dette notazione quadrata; esse sono la naturale evoluzione della scrittura presente negli antichi manoscritti. Bisogna infatti considerare il fatto che la trasmissione del canto gregoriano è nata oralmente poi i notatori hanno cominciato a scrivere sui testi da cantare dei segni che richiamassero gli accenti delle parole (notazione adiastematica cioè senza rigo); l'evoluzione di questi segni ha prodotto la notazione gregoriana che conosciamo oggi (notazione diastematica cioè sul rigo). La grafia fondamentale del gregoriano è data dal punctum e dalla virga; dalla sua combinazione con altri neumi scaturiranno tutti gli altri segni nelle loro infinite combinazioni (ad. es il pes, neuma di due note ascendenti, la clivis neuma di due note discendenti, il torculus e il porrectus neuma di tre note ascendenti e discendenti, il climacus neuma di tre o più note discendenti...).
Neumi monosonici:
  
Neumi plurisonici:
2 note
3 note
 
Il Rigo
Il repertorio gregoriano può trovarsi nella sua forma originale sia in forma diastematica che adiastematica, rispettivamente con oppure senza riferimenti spaziali. I brani diastematici vengono trascritti su di un rigo detto tetragramma che legge in chiave di do e che consta di quattro linee orizzontali con tre spazi all'interno; si leggono dal basso verso l'alto. Alcune volte si può aggiungere una linea supplementare ma, spesso per melodie che oltrepassano l'estensione del rigo si preferisce utilizzare il cambio di chiave. Generalmente i brani con la scrittura diastematica risalgono all'XI sec d.C. poiché vennero inventati da Guido d'Arezzo.
Le Chiavi
Nei manoscritti antichi per riconoscere precisamente l'altezza dei suoni furono utilizzate le lettere alfabetiche. Due di queste C e F che corrispondono rispettivamente al Do e al Fa diventarono le lettere chiave utilizzate nella trascrizione del repertorio. Nelle moderne edizioni la chiave di Do può essere posta sulla quarta, sulla terza e sulla seconda linea mentre la chiave di Fa si trova generalmente sulla seconda e sulla terza linea, raramente sulla quarta, mai sulla prima.
Alterazioni
Il gregoriano conosce solo l'alterazione del bemolle, il quale effetto viene eliminato con l'utilizzo del bequadro. Il bemolle viene impiegato solamente per l'alterazione della nota Si: il termine deriva dalla notazione musicale alfabetica nella quale la lettera b, corrispondente alla nota Si, quando disegnata con il dorso arrotondato (b molle) indicava il Si bemolle mentre con il dorso spigoloso (b quadro) indicava il Si naturale (cfr anche la teoria degli esacordi). Il bemolle usato nella notazione vaticana (la notazione quadrataancora in uso nelle stampe ufficiali), presenta in realtà il contorno spigoloso, in ossequio alla forma quadrata di tutti gli altri segni utilizzati.
Il bemolle ha valore fino alla fine della parola alla quale è associato e, a differenza della notazione attuale, veniva posto non necessariamente prima della nota interessata ma anche all'inizio della parola o del gruppo di neumi che contenevano la nota da abbassare.
Stanghette
Le moderne trascrizioni di canto gregoriano fanno uso di alcune lineette di lunghezza variabile poste verticalmente sul rigo musicale; esse hanno lo scopo di suddividere le frasi melodico-verbali della composizione (come se fossero i segni di punteggiatura di un testo). - Il quarto di stanghetta delimita un inciso melodico-verbale. - La mezza stanghetta delimita una parte di frase. - La stanghetta intera delimita la fine della frase e molto spesso coincide con la conclusione del periodo testuale. - La doppia stanghetta ha lo stesso significato di quella intera ma si usa al termine di un brano oppure per evidenziare l'alternanza di esecutori.
Custos
È una nota più piccola che si traccia alla fine del rigo e ha lo scopo di indicare al cantore la nota che comparirà all'inizio del rigo seguente.
Armonia
Il canto gregoriano segue, come le altre espressioni musicali, precise regole di armonia per comporre le sue melodie.
I modi
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Il Graduale Tu es Deus del Cantatorium Codex Sangallensis 359
Per quanto riguarda l'ambito dell'intero repertorio gregoriano ricordiamo che non si parla mai di tonalità come la intendiamo noi in senso moderno ma di modalità. Lo scopo della scienza modale è la ricerca della struttura compositiva di ciascun brano fino ad individuarne la forma originale dalla quale deriva. Ciascuna composizione di gregoriano è il frutto di un substrato continuo di evoluzioni che si sono protratte in secoli di storia liturgico-musicale.
Il gregoriano sviluppò nel tempo otto modi, che poi durante Rinascimento evolveranno nelle attuali scale maggiori e minori della notazione musicale classica. Ogni melodia è legata ad un modo, che solitamente viene indicato all'inizio dello spartito.
Ogni modo presenta una propria nota dominante (la nota sulla quale maggiormente insisterà la melodia), una propria estensione (quale intervallo di note potrà sfruttare la melodia) e una propria finale(la nota sulla quale terminerà il brano).
I modi vengono ulteriormente divisi in quattro categorie, ciascuna delle quali presenta un modo autentico ed uno plagale (più grave di quattro note rispetto al proprio modo autentico), accomunati dalla stessa estensione e nota finale. Le categorie sono: Protus, Deuterus, Tritus, Tetrardus. I singoli modi vengono riconosciuti grazie ad un numero romano (pari per i plagali e dispari per gli autentici).
Modo
Categoria
Tipo
Estensione
Repercussa
Finalis
I
Protus
Autentico
(DO)RE-RE(e
oltre)
LA
RE
II
Protus
Plagale
LA-SOL (se sale oltre
il sol diventa autentico)
FA
RE
III
Deuterus
Autentico
MI-MI
SI (nel repertorio profano), DO(scivolamento del si)
o LA(dominante, ossia tenor o repercussio del plagale)
MI
IV
Deuterus
Plagale
SI-SI
LA
MI
V
Tritus
Autentico
FA-FA
DO
FA
VI
Tritus
Plagale
DO-DO
LA
FA
VII
Tetrardus
Autentico
SOL-SOL
RE
SOL
VIII
Tetrardus
Plagale
RE-RE
DO
SOL
Secondo molti esperti, ad ogni modo si possono associare dei sentimenti: nonostante le più varie interpretazioni, generalmente si concorda sullo schema proposto da Guido d'Arezzo:
« Il primo è grave[8], il secondo triste, il terzo mistico, il quarto armonioso, il quinto allegro, il sesto devoto, il settimo angelico e l'ottavo perfetto. »
(Guido d'Arezzo)


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